L'interdetto legale e quello giudiziale sono condizioni che hanno natura e intenti diversi, poiché il primo è conseguenza di un intervento di carattere sanzionatorio, mentre l'interdizione giudiziale ha lo scopo di tutelare un soggetto non ritenuto in grado di decidere e operare autonomamente.
Ciò detto, esaminiamo brevemente i due casi e vediamo quali sono le specificità che li caratterizzano e li determinano.
L'interdizione legale ha origine da una sentenza penale di condanna che determina nel soggetto, o interdetto legale, l'incapacità di compiere determinati atti giuridici.
La legge dunque, non ritenendo il soggetto in questione meritevole di mantenere la propria completa capacità di agire, ne limita il campo d'azione in seguito a un procedimento penale.
Si tratta quindi di una misura sanzionatoria che scatta automaticamente, divenendo efficace, in seguito all'emanazione della condanna.
L'articolo 32 del Codice Penale italiano stabilisce infatti l'attivazione automatica della condizione di interdetto legale in seguito al passaggio in giudicato di una sentenza che commina all'imputato una pena detentiva come l'ergastolo, oppure una detenzione di almeno cinque anni.
Va da sé che l'interdetto legale cessa di essere tale una volta scontata la pena detentiva.
Ma in che modo l'interdizione legale limita la capacità di agire del condannato?
Poiché l'interdetto legale non è un soggetto incapace di intendere e di volere ma solo non meritevole per la società e l'ordinamento legislativo, non gli saranno impedite azioni di carattere personale.
Quindi non potrà compiere atti di natura patrimoniale, ma sarà perfettamente in grado di portare a termine un procedimento di riconoscimento della prole, di contrarre matrimonio o di fare testamento.
Per quanto riguarda invece la potestà genitoriale, essa viene sospesa in casi di pena non inferiore ai cinque anni (a meno che il giudice non disponga diversamente) e decade invece soltanto nel caso in cui il condannato debba scontare l'ergastolo.
Tutti quegli aspetti della vita quotidiana che ricadono nel campo patrimoniale, invece, dovranno essere affidati a un tutore legale.
Questi, di norma scelto tra i parenti stretti o comunque tra le persone più vicine all'interdetto, viene nominato dal Giudice tutelare del Tribunale che ha sede nel luogo in cui il condannato ha la propria residenza.
Tale procedimento viene aperto d'ufficio a seguito della condanna e della comunicazione della stessa al Tribunale da parte del Pubblico ministero e la tutela avrà la stessa durata della pena detentiva, naturalmente.
Questo a meno che il tutore non chieda di essere esonerato dal suo compito; è nelle sue facoltà, a condizione che ci sia un'altra persona disponibile a prendere il suo posto.
Il tutore dovrà occuparsi del patrimonio dell'interdetto legale; rientra quindi tra i suoi compiti la gestione dei beni immobili e di eventuali somme che egli riceve sotto forma di eredità o di risarcimento danni, nonché quelle derivanti da un'eventuale pensione e del denaro che egli non ha con sé quando viene tradotto in carcere.
Anche nel caso dell'interdizione giudiziale si ha l'intervento del Tribunale. Tuttavia, come dicevamo all'inizio dell'articolo, essa non ha alcun intento sanzionatorio, ma si prefigge lo scopo di tutelare minori o maggiorenni non in grado di intendere e di volere.
Al di fine di proteggere il soggetto interdetto “a tutto tondo”, essa non si limita – come fa quella legale – agli atti patrimoniali, ma si estende anche alle azioni di carattere personale.
Per questo motivo comprende tutti gli atti giuridicamente rilevanti per il soggetto, dalla vendita o dall'acquisto di un bene immobile al matrimonio, in modo da evitare qualunque situazione che possa arrecare danno agli interessi del tutelato.
Poiché si tratta di una tutela così vasta e importante, così pervasiva, è chiaro che l'iter procedurale presenta rilevanti caratteri di specificità.
Il primo, irrinunciabile requisito è dunque una patologia grave e non transitoria, che impedisce al soggetto di manifestare consapevolmente la sua volontà.
Seguono l'incapacità di curare i propri interessi – economici ed extra patrimoniali – e la necessità di protezione per evitare situazioni potenzialmente dannose.
Il procedimento si articola in tre fasi:
In caso la persona oggetto della domanda di interdizione sia maggiorenne, tale ricorso può essere presentato da:
Se il soggetto è minore, invece, possono agire solo i genitori e il Pubblico ministero.
Il ricorso, contenente tutti i dati identificativi del soggetto e dei ricorrenti e la certificazione medica aggiornata che prova lo stato di necessità, deve essere presentato al Tribunale competente.
La prima fase ha soprattutto lo scopo di stabilire se tale richiesta è fondata, e quindi si deve procedere con l'iter, oppure se va rigettata perché non sussistono i requisiti per l'interdetto.
Una volta accertata l'esistenza delle basi per procedere con quanto esposto dai ricorrenti, l'interdicendo sarà esaminato dal Giudice istruttore e, al bisogno, da un consulente esperto (per esempio uno psichiatra).
Il Giudice potrà inoltre ascoltare i pareri dei citati nel ricorso e, se necessario, raccogliere ulteriori informazioni.
La procedura viene conclusa da una sentenza, che può dichiarare lo stato di incapacità o rigettare l'istanza.
Nel primo caso il Tribunale provvede anche alla nomina del tutore, che si farà carico della gestione del patrimonio dell'interdetto senza intaccarlo o arrecargli danno, per tutto ciò che riguarda la normale amministrazione necessaria alla vita quotidiana dell'interdetto stesso.
Ogni atto che esula da questo campo e si configura quindi come amministrazione straordinaria (per esempio la vendita di un bene immobile) richiede la previa autorizzazione del Tribunale.
Azioni meno influenti e complesse, come per esempio l'accettazione o la rinuncia all'eredità, possono invece essere autorizzate direttamente dal Giudice tutelare.
È chiaro che l'interdetto giudiziale, contrariamente a quello legale, perde effettivamente la capacità di operare e di agire autonomamente.
L'interdizione giudiziale può essere revocata su istanza del Tribunale se ne vengono meno i presupposti; può anche essere impugnata, sempre da tutti i soggetti che possono presentare la domanda e dal tutore, entro trenta giorni dalla notifica della sentenza.