Il contratto di convivenza, introdotto dalla legge 76/2016 – comunemente conosciuta come Legge Cirinnà –, va a disciplinare alcuni aspetti patrimoniali del rapporto di quelle coppie che non intendono contrarre matrimonio.
In questo breve articolo cercheremo di capire quali sono le sue caratteristiche e i suoi requisiti, come funziona, come si stipula e gli eventuali costi legati a tale procedura.
La normativa non prevede naturalmente alcun obbligo in relazione alla “regolarizzazione” o alla “registrazione” che dir si voglia di quelle persone che non intendono avvalersi del contratto matrimoniale.
Il legislatore, però, ha pensato di offrire loro alcune tutele e diritti di tipo patrimoniale, grazie alla stipula di un cosiddetto contratto di convivenza.
Tale “patto” – come esplicita la definizione stessa – è un vero e proprio contratto che crea dunque un vincolo giuridico e, come vedremo più avanti, necessita di una scrittura privata autenticata.
Quali sono i requisiti che la coppia deve dimostrare di avere per poter procedere alla stipula di un contratto di convivenza? Sono i seguenti:
Ci sono anche situazioni o condizioni che rendono impossibile la stipula del contratto di convivenza. Perciò i componenti della coppia non devono:
Perché decidere di procedere alla stipula di un simile contratto? Esso presenta alcuni vantaggi di natura pratica.
Per esempio la coppia può decidere come ripartire le spese destinate al nucleo familiare, fissare alcune regole per la convivenza e l'eventuale investimento di denaro e decidere se scegliere un regime patrimoniale di comunione o di separazione dei beni.
Inoltre i componenti possono nel contratto stabilire alcune direttive riguardanti il reciproco impegno all'assistenza in caso di malattia e anche designare il convivente come amministratore di sostegno, tutore, curatore, eccetera.
Ricordiamo che il contratto di convivenza, in quanto tale, crea dei precisi impegni giuridici a carico delle parti coinvolte: ciò significa che, in caso di inadempienza, il convivente danneggiato può rivolgersi al giudice.
La natura giuridica di questo “patto” fa anche sì che sia possibile recedere da esso, oppure modificarlo. Saranno i conviventi nel contratto stesso a stabilire – se lo desiderano –eventuali clausole, di natura economica o legate a precisi accadimenti.
Abbiamo visto in un precedente articolo quali sono i diritti e i doveri delle cosiddette “coppie di fatto”; coloro che presentano le caratteristiche prima elencate possono definire e registrare un contratto di convivenza, argomento del presente scritto.
Esso deve rispondere a determinati requisiti, che sono:
Per quanto riguarda i costi, essi dipendono solamente dall'onorario del professionista a cui ci si rivolge (avvocato o notaio), che a sua volta sarà direttamente proporzionale alla complessità della situazione patrimoniale della coppia.
Come abbiamo accennato in precedenza il contratto di convivenza può essere modificato (secondo le medesime procedure applicate per la stipula) o sciolto (anche per iniziativa unilaterale).
Anche la morte di uno dei due conviventi porrà termine al contratto, naturalmente.
Nel caso l'iniziativa sia unilaterale, parta cioè da uno dei due soltanto, questi dovrà presentare una dichiarazione al notaio o all'avvocato, il quale notificherà la decisione all'altro convivente.
Se il partner che decide di porre fine al contratto è l'unico proprietario dell'immobile in cui la coppia ha la residenza, deve lasciare alla controparte almeno 90 giorni di tempo per lasciare l'abitazione.
Nel caso uno dei due ex conviventi non sia economicamente in grado di mantenersi, ha diritto a ricevere dall'altro gli alimenti per un periodo proporzionale alla convivenza.