Il diritto successorio, detto anche diritto ereditario, è quella branca della giurisprudenza che si occupa di tutte le disposizioni, le procedure e le normative che si applicano qualora ci si trovi a dover suddividere il patrimonio di una persona defunta (che viene chiamata “de cuius”, usando una terminologia latina).
In pratica, quindi, riguarda tutto ciò che concerne la divisione eredità.
Andiamo dunque a esaminare brevemente cosa succede quando si è chiamati – per legge o per testamento – a subentrare ai diritti e/o ai possedimenti di qualcuno.
Per prima cosa bisogna chiarire di cosa parliamo quando trattiamo di “eredità” e di “divisione eredità”.
Se andiamo a leggere la definizione di questo termine su un vocabolario, troveremo che esso consiste nella “successione a titolo universale nel patrimonio e in genere nei rapporti attivi e passivi di un defunto”.
In pratica quando si parla di divisione eredità si tratta del trasferimento agli eredi dei beni e dei diritti che un individuo lascia dietro di sé alla propria morte.
Il quadro normativo italiano riconosce due modalità:
Con la locuzione “eredità testamentaria” si indica la successione (o divisione eredità) che segue le disposizioni lasciate dal cosiddetto testatore in un apposito documento, denominato testamento.
Tali volontà sono comunque disciplinate per legge e il testatore non può escludere dall'asse ereditario coloro che il diritto italiano definisce come “eredi legittimari”.
Come vedremo meglio in seguito, esistono parenti che non possono dunque essere “dimenticati” quando si procede alla divisione eredità.
La successione legittima, invece, si apre nei casi in cui tali disposizioni sono assenti o non valide e alla volontà del defunto – non pervenuta oppure non applicabile – si sostituisce dunque la normativa prevista dal Codice Civile, che individua precise casistiche e categorie di eredi e quote.
La quota non è altro che una porzione del patrimonio ed esprime in quale misura un determinato erede subentra al defunto.
Come abbiamo accennato in precedenza, il Codice Civile italiano individua coloro che sono considerati i cosiddetti eredi legittimari, ai quali la legge riserva una certa quota dell’eredità, indipendentemente dalle volontà che il defunto ha espresso nel testamento.
Su che basi il diritto italiano stabilisce chi e in che ordine di importanza è legittimato a partecipare alla divisione eredità? Sostanzialmente tali disposizioni non prendono in considerazione meriti o relazioni speciali con il defunto, ma si fondano semplicemente sui legami di parentela.
Tale procedura è stata concepita per evitare situazioni di stallo o altamente conflittuali in mancanza dei precisi dettami che possono essere inseriti nel testamento (dettami che comunque, come abbiamo già visto in precedenza, non possono privare della sua quota un erede considerato legittimo dalla legge).
Ciò detto, è chiaro che le prime persone a essere considerate eredi legittimi sono naturalmente il coniuge e i figli, ma vengono presi in considerazione anche ascendenti e collaterali (fratelli/sorelle), in diverse combinazioni a seconda delle differenti situazioni familiari, fino al sesto grado di parentela.
In mancanza di parenti entro il sesto grado non si procede alla divisione eredità: l’articolo 565 del Codice Civile, infatti, determina la devoluzione dell’asse ereditario in questione allo Stato italiano.
Ci pare corretto – e utile – dedicare solo qualche paragrafo alla questione dei gradi di parentela, che in realtà sono meno intuitivi di quanto possa sembrare.
Chiariamo per prima cosa chi sono i parenti: sono così definiti tutti coloro che sono uniti da un legame per cui uno discende dall’altro (per esempio madre e figlio) o entrambi discendono da un antenato comune (per esempio i fratelli).
Se c'è la discendenza di un individuo dall'altro si parla di parentela diretta o in linea retta; se c'è invece un avo in comune (denominato “stipite”) si parla di parentela indiretta o in linea collaterale.
Nel primo caso i gradi sono tanti quante sono le generazioni, escluso lo stipite; nel secondo si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente (sempre escludendo lo stipite).
In pratica genitori e figli sono parenti di primo grado, mentre nonni e nipoti (o fratello e sorella) sono tra loro parenti di secondo grado.
Queste definizioni, come vedremo, sono piuttosto importanti all'interno della divisione eredità.
Ma tornando a quello che è l’argomento principale di questo articolo – la divisione eredità, appunto –, la prima cosa da dire è che per la legge italiana i protagonisti privilegiati sono i discendenti, ovvero coloro che discendono in linea retta dal defunto.
Ciò significa che, se ci sono dei figli, questi escludono a priori tutte le altre categorie di parenti, tranne l'eventuale coniuge superstite.
I coniugi non sono parenti di sangue, naturalmente, ma sono persone legate da un vincolo riconosciuto dalla legge (sia che derivi da matrimonio sia che discenda da unione civile).
Grazie a tale rapporto il coniuge superstite ha sempre e comunque il diritto di continuare ad abitare nella casa che era adibita a residenza familiare e a utilizzare i mobili che la arredano.
Vediamo dunque a grandi linee come viene suddivisa per legge l’eredità in caso di successione legittima.
Se non ci sono figli, genitori o collaterali diretti sopravviventi, l’intera eredità spetta al coniuge superstite, anche se separato, purché senza addebito (ne è invece escluso il coniuge divorziato con sentenza definitiva).
Se ci sono i figli ma non il coniuge questi ereditano in parti uguali (ricordiamo che, a tutela dell’interesse della prole, non esiste più alcuna differenza, davanti alla legge, tra quelli che una volta venivano definiti figli legittimi e figli naturali, anche per quanto riguarda la divisione eredità).
Nel caso in cui a ereditare siano il coniuge e un figlio, i beni andranno divisi in parti uguali tra loro, mentre se i figli sono più di uno al coniuge spetta un terzo, mentre i due terzi devono essere equamente spartiti tra i figli.
Se sopravvivono solo fratelli/sorelle e coniuge, a quest’ultimo andranno i due terzi, mentre i primi si divideranno il terzo rimanente; se invece gli unici rimasti sono i genitori, essi ereditano in parti uguali (anche in caso di genitori adottivi, sebbene siano esclusi coloro che hanno adottato una persona maggiorenne, in seguito deceduta).
Quando invece al defunto sopravvivono sia coniuge, sia fratelli/sorelle sia ascendenti, al primo spettano i due terzi dell’eredità, compreso naturalmente il diritto di uso e di abitazione della casa coniugale, a genitori/nonni un quarto e a fratelli/sorelle un dodicesimo.
Nei casi in cui manchino tutti questi gradi più stretti di parentela la successione verrà aperta a favore dei parenti prossimi, sempre tenendo presente che la precedenza è data al parente più vicino.
Come abbiamo già detto e ribadito, l’ordinamento italiano non consente al singolo individuo di fare completamente “di testa sua” in materia di successione e divisione eredità.
Tuttavia è vero che, se si rispettano le quote minime stabilite dalla legge per gli eredi necessari, la persona può decidere liberamente come e a chi destinare la parte rimanente del suo patrimonio.
Diciamo subito che, in caso di successione testamentaria, i parenti che hanno diritto a partecipare alla successione sono il coniuge superstite, i discendenti e gli ascendenti. I collaterali (fratelli e sorelle del defunto) non hanno diritto alla cosiddetta legittima.
Vediamo di seguito come il patrimonio viene suddiviso in quote di riserva e quote disponibili a seconda del numero e del grado di parentela degli eredi necessari.
La quota di riserva è quella che spetta per legge all’erede, mentre in merito a quella disponibile il testatore può agire come più gli aggrada.
Se il de cuius lascia solo il coniuge, a quest’ultimo spetta la metà del patrimonio, mentre l’altra metà è considerata quota disponibile e può essere suddivisa come il testatore desidera.
Stesse percentuali sono stabilite dalla legge nel caso di un solo figlio superstite, unico erede: lui o lei ha diritto al 50 per cento del patrimonio, mentre l’altro 50 per cento è quota disponibile.
Se i figli sono due, essi si spartiranno equamente i due terzi dell’eredità, mentre il terzo rimanente è quota disponibile.
Nel caso in cui il de cuius lasci il coniuge e un figlio, la divisione eredità prevede tre quote: un terzo va al coniuge, un terzo al figlio e il terzo rimanente rimane soggetto ai desideri del testatore.
Qualora gli eredi siano rappresentati dal partner superstite e da più figli, al coniuge spetta un quarto, ai figli i due quarti (da spartire equamente fra loro), mentre l’ultimo quarto è quota disponibile.
Se alla divisione eredità partecipano solo il coniuge e gli ascendenti (quindi non c’è prole), metà spetta al primo, un quarto ai secondi e un quarto è quota disponibile.
Nel caso in cui, infine, al testatore sopravvivano solo gli ascendenti, essi si spartiscono un terzo del patrimonio, mentre i due terzi dell’eredità possono essere destinati secondo i desideri di chi stila il testamento.
Quando si considera la divisione eredità bisogna ricordare che rientra fra gli eredi anche il concepito che viene alla luce entro 300 giorni dalla morte del de cuius (la partecipazione alla successione è comunque sempre subordinata alla nascita).
Tuttavia gli eredi ritenuti indegni dalla legge, ovvero coloro che si sono macchiati di determinati crimini, possono essere esclusi dall'asse ereditario.
I reati che comportano indegnità sono quelli compiuti da: